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Nella nostra vita quotidiana, «terreno/territorio» può assumere contemporaneamente molti significati. Può riferirsi a uno spazio sulla superficie della massa terrestre del nostro pianeta. Può indicare anche il suolo, le rocce, la sabbia o i corsi d’acqua sulla superficie terrestre e i suoi strati superiori. In taluni casi può comprendere tutti i minerali e altre risorse come le acque freatiche, il petrolio e le pietre preziose presenti nelle profondità di un’area. Per le comunità locali e gli abitanti delle città appassionati di giardinaggio, questo termine può esprimere persino un legame culturale con lo stile di vita rurale o con la natura.
Il valore di mercato di un terreno (una determinata area) può variare molto a seconda dell’uso, dell’ubicazione e delle risorse che contiene. La storia è piena di esempi di aree remote o non molto popolari i cui prezzi sono saliti alle stelle dopo la scoperta di giacimenti di oro o petrolio, oppure di quartieri cittadini, come Kreuzberg a Berlino, che ai tempi del Muro era un rione periferico ma poi è rapidamente diventato un luogo centrale nella vita della città, con conseguente aumento dei prezzi delle case e dei terreni. I terreni produttivi possono essere anche una materia prima globale o un investimento da parte delle multinazionali che acquistano vaste porzioni di terra in tutto il mondo, spesso a scapito delle piccole produzioni locali.
Le modalità per riconoscere un terreno in quanto proprietà privata (come una materia prima che può essere oggetto di compravendita) variano a seconda delle diverse culture nonché nel corso del tempo. Nelle culture nomadi tradizionali, ad esempio presso i sami, nel nord della Finlandia e della Svezia, la migrazione stagionale su grandi distanze e la dipendenza dalle risorse naturali disponibili lungo i percorsi migratori hanno rappresentato e, sia pure in misura minore, rappresentano tuttora la norma. Questo modo di vivere dipende dalla possibilità di accedere liberamente al paesaggio e alle sue risorse. È la comunità nel suo complesso che usa la terra e se ne prende cura. In tale contesto, la terra e le sue risorse poste sopra e sotto il suolo sono beni comuni.
La terra può essere anche uno spazio condiviso e un bene condiviso assegnato a una comunità per un determinato uso. In molti villaggi della Turchia, gli abitanti possono accedere a pascoli nettamente delimitati e utilizzarli per i propri greggi. Sotto il profilo giuridico, i terreni appartengono allo Stato o al villaggio in quanto comunità; tuttavia, gli abitanti del villaggio hanno il diritto di utilizzarlo e di decidere come condividerlo.
Sotto certi aspetti, si tratta di una situazione analoga a quella di altri spazi pubblici. Nelle aree urbane le autorità possono individuare alcune zone – ad esempio parchi, piazze pubbliche o zone pedonali – che possono essere utilizzate e condivise da tutti. Gli spazi pubblici possono comprendere terreni di proprietà dello Stato o di un’autorità pubblica.
In Europa, il concetto di spazi pubblici comuni coesiste con quello di aree esplicitamente e giuridicamente definite come proprietà privata, appartenenti a persone fisiche o giuridiche quali imprese o organizzazioni. Tali aree hanno confini nettamente definiti, spesso da una recinzione o un muro, e sono ufficialmente registrate e riconosciute da un ente pubblico come il Catasto o il Comune. Indipendentemente dal tipo di proprietà terriera, le autorità pubbliche possono anche stabilire, mediante piani regolatori, le destinazioni d’uso di determinate aree – ad esempio per fini residenziali, commerciali, industriali o agricoli.
La governance del territorio e delle sue risorse non è mai stata definita in modo inequivocabile. Un’area dichiarata proprietà privata e gestita da soggetti privati può anche essere uno spazio pubblico e fornire beni pubblici. In alcuni casi l’area può essere considerata uno spazio pubblico che fornisce un bene pubblico, ma le sue risorse sono materie prime appartenenti al proprietario legale del terreno, come nell’esempio delle foreste finlandesi.
Oltre il 70 % della Finlandia è ricoperto da foreste e circa il 60 % di esse[i], con pressapoco 440 000 aziende, appartiene a quasi un milione di persone fisiche o famiglie. Questi appezzamenti boschivi relativamente piccoli (con una superficie media di 23 ettari per azienda, equivalenti all’incirca a 32 campi da calcio) sono trasmessi di generazione in generazione. Nel corso del tempo, il numero degli agricoltori proprietari di foreste è fortemente diminuito, in parte a causa dell’invecchiamento della popolazione e dell’emigrazione dei più giovani verso le città. Oggi i pensionati rappresentano il gruppo più consistente tra i proprietari di foreste, e la maggior parte delle aree boschive è gestita di fatto da un’estesa rete di associazioni di proprietari diffusa in tutta la Finlandia. Ciononostante, qualsiasi cittadino finlandese ha il diritto di accedere alle foreste private e di goderne.
Difatti, più del 60 % delle foreste europee[ii] è di proprietà privata. La quota dei boschi di proprietà privata varia dal 75 % in Svezia e Francia a meno del 25 % in Grecia e Turchia. La gestione dei boschi e le attività forestali possono essere esercitate da enti pubblici o affidate ad aziende forestali private.
Per tutelare il suolo e le sue risorse e stabilire le modalità del loro utilizzo, varie strutture di governance hanno predisposto una serie di politiche e misure. In Europa tali politiche e misure possono andare dalle norme per i piani regolatori alla normativa europea volta a ridurre le emissioni di inquinanti industriali nel terreno, dalla connessione tra le aree verdi (per limitare la frammentazione) all’estensione delle aree protette (per preservare la diversità della natura). Alcune di queste misure sono strettamente collegate a settori economici o a specifiche aree politiche. Ad esempio, la Politica agricola comune[iii] dell’UE impone agli agricoltori di adottare una serie di pratiche per conseguire «buone condizioni agronomiche e ambientali». Analogamente, il Settimo programma d’azione per l’ambiente[iv], che orienta la politica ambientale dell’UE fino al 2020, comprende l’impegno non vincolante di un «consumo netto di suolo pari a zero entro il 2050», allo scopo di arrestare l’espansione delle aree urbane nelle foreste e su terreni agricoli spesso fertili. Nonostante queste misure, non esiste una serie coerente e completa di politiche in materia di suolo e territorio. In una recente relazione[v] la Corte dei conti europea (CCE) sottolinea che i rischi collegati alla desertificazione e al degrado del suolo stanno aumentando e che le misure politiche non sono coerenti. La Corte raccomanda, tra l’altro, di stabilire un metodo per valutare la portata della desertificazione e del degrado del suolo nell’UE, di fornire agli Stati membri orientamenti sulla conservazione del suolo e di conseguire la neutralità in termini di degrado del suolo.
Il compito di passare all’azione sul campo per raggiungere questi obiettivi politici non spetta soltanto alle singole parti interessate, come gli agricoltori, i consumatori e gli urbanisti. Infatti, per quanto le nostre scelte come consumatori (ad esempio, non usare prodotti per la cura della persona contenenti microplastiche), le nostre abitudini alimentari e le pratiche agricole possano avere un impatto sulla salute dei suoli e dei terreni, sono in gioco anche molti altri fattori e soggetti interessati. I prezzi di mercato dei cibi e dei terreni, la produttività del terreno, i cambiamenti climatici e la pressione esercitata dall’espansione urbana sono tutti fattori che possono spingere gli agricoltori ad adottare pratiche di monocoltura o di agricoltura intensiva per poter restare economicamente sostenibili. Non sorprende il fatto che molte comunità agricole in tutta l’Europa soffrano dell’abbandono dei terreni e che, specialmente nelle aree a bassa produttività agricola, i giovani si trasferiscano nelle città. Analogamente, può succedere che singoli urbanisti decidano di limitare l’espansione delle città convertendo i siti industriali dismessi in nuove aree urbane, ma che le autorità non dispongano delle risorse necessarie per farlo. In molti casi, la bonifica e il ripristino dei terreni nelle aree industriali possono essere più costosi dell’espansione delle infrastrutture e dell’edificazione sui terreni agricoli.
In alcuni ambiti politici, come l’inquinamento del suolo, l’attribuzione delle responsabilità può risultare estremamente difficile. In un determinato terreno agricolo, una parte della contaminazione può essere dovuta a un uso eccessivo di fertilizzanti e pesticidi da parte dell’agricoltore. Ma lo stesso terreno può contenere anche altri inquinanti, derivanti da attività industriali, energetiche o di trasporto, che vi sono stati portati dal vento e dalla pioggia oppure a seguito di un’alluvione. In sostanza, è la società nel suo complesso a beneficiare del cibo prodotto in un dato appezzamento e del trasporto di quello stesso cibo fino alle città.
Alcune delle risorse del terreno, comprese la sabbia e la ghiaia, sono materie prime globali. Gli utilizzatori finali possono trovarsi in luoghi molto distanti dal sito di estrazione. Secondo una recente relazione del programma delle Nazioni Unite per l’ambiente[vi], la domanda globale di sabbia è triplicata negli ultimi vent’anni a seguito dell’urbanizzazione e dello sviluppo delle infrastrutture. Le norme in materia di estrazione e la loro applicazione possono cambiare da un paese all’altro. Accanto alla crescente domanda e a pratiche di estrazione illegali, queste differenze di governance possono esercitare una pressione aggiuntiva su ecosistemi già vulnerabili, come fiumi e aree costiere, dove la sabbia viene estratta. Analogamente, altre attività estrattive – carbone, calcare, metalli preziosi e gemme – possono avere un impatto altrettanto rilevante (ad esempio sotto forma di contaminazione o asportazione degli strati attivi del suolo) sugli ecosistemi vicini ai siti di estrazione.
Stabilire e concordare obiettivi quantificabili può rappresentare un’altra sfida in termini di governance. Sappiamo, ad esempio, che la materia organica nel suolo – come i residui vegetali – è essenziale per garantire suoli sani e produttivi e mitigare i cambiamenti climatici. Alla luce di questa situazione, nella tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse[vii] l’UE si è impegnata ad aumentare la materia organica presente nel suolo. Ma come possiamo misurare con precisione i cambiamenti se non sappiamo quale sia il contenuto attuale di materia organica nel suolo dell’Europa? A questo scopo il Centro comune di ricerca della Commissione europea ha avviato una prima indagine del suolo[viii] su circa 22 000 campioni di suolo provenienti da tutta l’Europa.
La terra e il suolo vengono sempre più riconosciuti come risorse vitali e limitate a livello globale ed europeo che sono sottoposte a pressioni crescenti dovute, tra l’altro, ai cambiamenti climatici e alla perdita di biodiversità. Ad esempio, una recente relazione speciale[ix] del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico offre una prospettiva globale per le sfide future studiando fenomeni quali il degrado del suolo, la gestione sostenibile del territorio, la sicurezza alimentare e le emissioni di gas serra negli ecosistemi terrestri nel contesto dei cambiamenti climatici. Una relazione dell’IPBES (Piattaforma intergovernativa di politica scientifica per la biodiversità e i servizi ecosistemici) evidenzia la portata del degrado globale del suolo[x] e le sue implicazioni. Una più recente valutazione globale[xi] dell’IPBES pone l’accento sull’accelerazione del declino della biodiversità, comprese le specie terrestri, dovuta anche ai cambiamenti nell’uso del territorio.
In anni recenti questa acquisizione di conoscenze si è gradualmente tradotta nella definizione di obiettivi e strutture generali. Gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite – in particolare l’obiettivo 15: Vita sulla terra[xii] e l’obiettivo 2: Fame zero[xiii] – dipendono dalla disponibilità di suoli sani e da un uso sostenibile del territorio. Il Partenariato mondiale per il suolo[xiv] dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, unitamente ai suoi partenariati regionali, ha lo scopo di migliorare la governance e promuovere una gestione sostenibile del suolo mettendo insieme tutte le parti interessate, dagli utilizzatori del territorio ai responsabili politici, per discutere le questioni relative al suolo. Molti documenti politici dell’UE, tra cui la sua strategia tematica per il suolo[xv] e la strategia per la biodiversità[xvi], invitano a tutelare il suolo e a garantire un uso sostenibile del territorio e delle sue risorse.
Nonostante gli sforzi compiuti a livello globale ed europeo, la complessità della governance del suolo e del territorio fa sì che manchino tuttora quasi completamente obiettivi vincolanti, incentivi e misure per la tutela delle risorse del suolo e del territorio.
Nondimeno, in vari ambiti della società si stanno sviluppando numerose iniziative volte a migliorare la gestione del suolo e del territorio. Scopo di tali iniziative è potenziare il nostro monitoraggio ambientale, sostenere le proposte di riforma delle politiche (ad esempio in agricoltura) e le attività di ricerca, nonché coinvolgere le associazioni che promuovono un’agricoltura rispettosa dell’ambiente e i consumatori che acquistano generi alimentari sostenibili. In conclusione, abbiamo tutti il dovere di prenderci cura del suolo e del territorio, di cui siamo tutti responsabili in quanto utilizzatori, proprietari, legislatori, gestori e consumatori.
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