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Il principio «chi inquina paga» è un principio semplice basato sul buon senso: chi inquina, che potrebbe essere il responsabile o l’attività che causa l’inquinamento, deve pagare per rimediare al torto. Ciò potrebbe implicare la bonifica dell’area inquinata o la copertura dei costi sanitari delle persone colpite.
Storicamente, si è trattato di un concetto molto potente per attenuare gli impatti negativi dell’inquinamento. Ha fornito un imperativo d’azione morale e giuridico. In casi urgenti, ha contribuito a formulare politiche e misure che hanno consentito un’azione decisiva per individuare le fonti di inquinamento e la relativa responsabilità, ridurre i livelli di inquinamento e fornire una qualche forma di compensazione alle persone colpite. Ad esempio, alcune attività economiche note per rilasciare inquinanti hanno dovuto installare filtri per ridurre le emissioni inquinanti o istituire fondi di compensazione settoriale.
Tuttavia, anche nei casi semplici in cui è possibile individuare chi inquina, l’attuazione può risultare difficile. Il «colpevole» può non essere in grado di pagare e la società madre o gli azionisti non sempre possono essere ritenuti responsabili delle attività di una società controllata. Non tutti i paesi dispongono di un quadro giuridico consolidato per gestire questi casi. Anche in caso affermativo, un procedimento giudiziario è spesso molto lungo e costoso.
Inoltre, con il tempo, il principio è stato applicato a casi più complessi di inquinamento persistente e diffuso, come l’inquinamento atmosferico derivante da fonti diffuse, in cui l’attribuzione della responsabilità e l’attuazione diventano ancora più difficili.
Nei casi di inquinamento diffuso, non è facile tracciare e individuare chi inquina e collegarlo alle le persone colpite. L’inquinamento atmosferico può essere causato da inquinanti provenienti da fonti e luoghi diversi, alcuni dei quali possono trovarsi al di là dei confini internazionali. Dobbiamo anche riflettere sui risultati positivi e sui benefici di queste attività inquinanti. Si tratta di prodotti e servizi, come cibo, abbigliamento, trasporti, che avvantaggiano noi individualmente e la società nel suo insieme.
Ad esempio, le attività inquinanti al di fuori dell’UE potrebbero interessare le comunità locali, ma l’azienda madre potrebbe avere sede nell’UE e i consumatori europei potrebbero usufruire dei prodotti. In questi casi è difficile ritenere responsabile solo il gestore. Spesso la società nel suo insieme ne sostiene i costi.
Ma i costi o i danni e i benefici non sono distribuiti equamente. Le comunità a basso reddito o i gruppi più vulnerabili, come le famiglie monoparentali, tendono a vivere più vicini alle strade e a essere più esposti agli agenti inquinanti del trasporto stradale.
Vi sono due diversi tipi di approccio. Il primo mira ad aiutare le persone colpite e in Europa esistono molti validi esempi. I pannelli per l’abbattimento acustico o strutture simili costruite lungo le autostrade possono ridurre in modo significativo i livelli di rumore e, di conseguenza, i danni per chi vive nei dintorni.
Il secondo tipo mira, in primo luogo, a limitare o prevenire l’inquinamento o le attività dannose. Tali misure potrebbero comprendere l’imposizione di tasse, quote di inquinamento o determinate soluzioni tecnologiche. Ad esempio, l’Europa sta introducendo carburanti più puliti o riducendo gradualmente le emissioni di carbonio prodotte dalle nuove autovetture. Per alcuni settori, le quote di emissione sono soggette a un massimale e possono essere negoziate. Alcune di queste misure mirano ad adeguare il prezzo in modo da influenzare i comportamenti di consumo. Analogamente, ad oggi molti Stati membri fanno pagare in base alla quantità estratta o utilizzata piuttosto che sul numero di rubinetti, fatto che ha cambiato in modo sostanziale il modo in cui utilizziamo l’acqua.
Purtroppo, l’attuale sistema può essere visto e utilizzato come una «licenza per inquinare»: a patto che tu possa pagare (vale a dire, se te lo puoi permettere) sei autorizzato a inquinare. Ciò è strettamente legato all’iniqua ripartizione dei benefici e dei costi di queste attività inquinanti. Anche la questione dell’iniquità è il fulcro dei negoziati globali sul clima, sia in termini di emissioni storiche (la quantità emessa da ciascun paese fino al momento attuale) sia in termini di emissioni attuali pro capite. In un mondo ideale, a tutti verrebbe concessa la stessa quantità di crediti di carbonio.
Il secondo svantaggio principale riguarda il «pagamento» che difficilmente copre tutti i «costi». I territori contaminati in vecchi siti industriali potrebbero essere bonificati per consentire alle persone di viverci. Si tratta di un’operazione molto costosa, ma non elimina necessariamente il danno arrecato ai corpi idrici o alle persone e agli animali che usufruiscono di quell’acqua. I costi sono spesso limitati ai costi operativi e non riflettono il reale valore dei benefici che otteniamo dalla natura.
Abbiamo bisogno di un approccio coerente e globale che affronti tutte le sfide che ci attendono – degrado ambientale, cambiamenti climatici, uso delle risorse e disuguaglianze – esattamente come fanno gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Il Green Deal europeo punta all’integrazione di alcune di queste idee nelle politiche europee.
Per coprire il valore reale avremmo bisogno di un regime fiscale molto più ambizioso, sia per l’imposta sulle società che per l’imposta sul reddito personale, volto a indurre un comportamento più sostenibile. Inoltre, i costi devono essere integrati non solo a valle sul versante del consumo, ma anche a monte sul versante della produzione. Poiché i sistemi di consumo e produzione sono interconnessi a livello globale, la suddetta integrazione richiede un approccio che vada oltre le norme e i regolamenti degli stati sovrani.
Per essere efficace, questo approccio deve essere sostenuto da un sistema di governance con le autorità di regolamentazione in grado di garantire e applicare condizioni di parità con norme ben definite. Nella pratica, oltre a tasse cospicue e standard comuni, saranno necessarie misure come i dazi antidumping e le tasse sul carbonio alle frontiere, nonché un approccio comune verso le sovvenzioni dannose per l’ambiente.
Prof. Geert Van Calster
Capo del dipartimento di diritto europeo e diritto internazionale presso la facoltà di giurisprudenza di Lovanio
Università di Lovanio
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